Estate, tempo di relax e spesso, tra un bagno al mare e l’altro, una gita in montagna e un’escursione, anche di film. E quali vedere o rivedere se si lavora nel mondo delle Risorse Umane? Eccone 5 selezionati per voi che parlano di lavoro sì, ma soprattutto fanno riflettere sulla società attuale, sul desiderio di rivalsa, sul purpose personale e sull’importanza della collaborazione.
Di ognuno vi diciamo il titolo (ovviamente), l’anno di uscita, la trama, ma soprattutto perché vederlo, oltre a riportare una frase che ci ha colpito.
Iniziamo la nostra selezione (che non va per ordine di importanza, ma è assolutamente casuale) con “Io e mio fratello”, per proseguire con “Io sono Tempesta”, “Air – il grande salto”, “Noi come stronzi restammo a guardare” e “Sorry we missed you”.
Io e mio fratello (2023)
Il film, uscito nell’aprile scorso, si snoda tra Milano e la Calabria e regala a chi ama il Sud dei paesaggi davvero stupendi. La storia è quella di una famiglia che, come succede a tante altre, con la morte del padre si divide. Sofia (interpretata da Denise Tantucci) si trasferisce a Milano e il fratello Mauro (Cristiano Caccamo) resta in Calabria a gestire l’azienda vinicola di famiglia, condividendo la casa con la madre (Lunetta Savino) e l’eccentrica zia (Teresa Mannino). Tutto è destinato a cambiare quando Sofia scopre che il fratello sta per sposare una sua ex fiamma, Michela, così decide di tornare al paese per mandare all’aria il matrimonio, ma quello che scoprirà va oltre l’amore.
Perché vederlo
La trama potrebbe far pensare a un film romantico anziché a una pellicola adatta a chi lavora nel mondo HR, ma è presto detto. I due fratelli si trovano a fare i conti con quello che sono davvero, con le loro aspirazioni e con l’importanza di collaborare per portare avanti un progetto comune, ossia salvare l’azienda vinicola.
Sofia ha inventiva, ha la capacità di coinvolgere la gente, in particolare gli operai che apprezzavano il padre – grazie anche all’aiuto di Bernardo (Nino Frassica) – e ama molto il vino, se n’è andata da Altomonte (il paese dove è ambientato), ma scoprirà che nel suo sangue scorre la voglia di fare impresa. Il fratello Mauro si è trovato a essere manager, ad avere la responsabilità dell’azienda di famiglia, senza essere davvero preparato a farlo e soprattutto senza volerlo.
Sebbene sia una commedia romantica, il film fa emergere aspetti legati al mondo del lavoro: il sapere cosa si vuole nella vita e come raggiungerlo così come che, quando si inizia un nuovo progetto, è importante avere il sostegno di tutti coloro che ne fanno parte e sono interessati perché questo può aprire strade inaspettate (non diciamo di più per non rovinare la sorpresa).
Una frase del film
“La perfezione non esiste, poi uno sceglie e c’è il rimpianto per le strade che ha scartato”.
Io sono Tempesta (2018)
Film che chi vi scrive ha amato molto – come gli altri del resto – perché ci sono due degli attori più bravi che il cinema italiano ci sa regalare: Marco Giallini ed Elio Germano che qui interpretano, rispettivamente, il ricco Numa Tempesta e un padre che, con suo figlio, è costretto a rifugiarsi in un centro d’accoglienza.
La trama, in estrema sintesi, vede il ricco imprenditore condannato per frode fiscale e costretto a scontare un anno di servizi sociali in un centro d’accoglienza, dove dovrà occuparsi di pulizie e aiutare i “poveracci” che si trovano al suo interno, dimostrando così un’empatia che non ha provato quasi mai per nessuno. Tra questi c’è appunto Elio Germano.
Perché vederlo
Per riflettere sui rapporti umani e sulla classe dirigente attuale oltre che su quelle differenze solo apparenti e che, mentre si condivide la stessa situazione, tendono a scomparire. Una commedia all’italiana che diverte e che allo stesso tempo richiama alla mente la figura di Silvio Berlusconi e i suoi guai con la giustizia, ma con un Marco Giallini che costruisce comunque un personaggio molto originale, ironico e che con le sue battute dà molto cui pensare.
Una frase del film
“In questi giorni io, senza telefono, ho perso trenta milioni, però stanotte ho dormito da dio.”
Air – Il grande salto (2023)
A chi non è appassionato di basket, il film, di primo acchito, potrà far pensare che non vale la pena vederlo. La storia è infatti quella di Micheal Jordan e di come inizia il suo rapporto commerciale con la Nike che poi lo porterà a firmare le mitiche scarpe Air Jordan. In realtà, però, Michael Jordan è sullo “sfondo”, è ancora un ragazzino e i veri protagonisti sono la sua famiglia, in particolare la madre Deloris Jordan (interpretata da Viola David), Phil Knight (Ben Affleck) e Sonny Vaccaro (Matt Damon), talent scout che ha come obiettivo quello di portare all’azienda la prossima star NBA con cui collaborare.
Il film racconta quindi l’opera di persuasione del management Nike di quegli anni, l’impegno del talent scout insieme a designer per convincere Jordan e come inizia quella partnership che, di fatto, è stata leggendaria.
Perché vederlo
Per tantissimi motivi, innanzitutto per vedere come fare negoziazione per raggiungere un obiettivo intermedio che soddisfi ogni persona coinvolta nell’accordo.
Inoltre, Knight come imprenditore visionario che dà fiducia al suo talent scout è davvero una chicca e fa pensare a quanto sia importante farlo nei contesti aziendali, anche quando i numeri sembrano andare in un’altra direzione. Sonny Vaccaro, con la sua caparbietà e la capacità di coinvolgere le persone intorno a sé, incarna sicuramente un tipo di leadership non legata al management, ma piuttosto a chi ha una direzione, sa come raggiungerla e come circondarsi delle persone giuste. Pur non essendo una persona apparentemente così carismatica.
Una frase del film
-Come sei arrivato a questa decisione?
-Sono andato a correre.
(dialogo tra Ben Affleck e Matt Damon)
E noi come stronzi rimanemmo a guardare (2021)
Questo è un film che fa venire mal di pancia, sia a chi si serve quotidianamente delle app di food delivery che a chi riflette costantemente sull’app economy e sui suoi lati negativi. Ma non solo: è un film che dà modo di pensare alla mercificazione del lavoro e quanto la velocità, spesso, possa essere deleteria.
Ma partiamo dalla trama: in questa pellicola ambientata in un futuro non ben identificato, un bravissimo Fabio Di Luigi (nei panni di Arturo Giammarresi) è inizialmente un uomo di successo: lavoro interessante, bella casa, fidanzata finché, proprio a causa dell’algoritmo da lui progettato, si ritrova licenziato e a quasi 50 anni non riesce a ricollocarsi. Riuscirà a trovare un impiego solo come rider della multinazionale Fuuber che lo sfrutta e fa della velocità e dell’algoritmo il proprio vessillo lavorativo.
Perché vederlo
Il film, diretto da Pif, affronta con una commedia dal sapore dolce-amaro la contemporaneità di un mondo che spesso pur di inseguire le comodità, la vita fatta in un certo modo, non si interroga su tutto quello che ci sta dietro e sulla solitudine che ne deriva. Fabio De Luigi arriverà a innamorarsi di un ologramma che diventa l’unica “persona” in grado di capirlo, sostenerlo e incoraggiarlo. Anche qui, a mio avviso, c’è una velata critica a una società fatta di persone che non sempre si supportano tra loro o meglio riescono a farlo solo quando va tutto bene, ma non sono disposte a esserci quando le cose potrebbero rovinare un equilibrio difficilmente raggiunto. Per un HR un modo per riflettere su cosa voglia dire produttività oggi, ma anche sui rapporti lavorativi.
Una frase del film
“Ci dev’essere un errore sul vostro portale, perché quando vado ad inserire l’età arriva a 40 e si blocca, e non riesco ad inserire la mia, di età!”
Sorry, we missed you (2019)
Un film uscito prima della pandemia che è ancora attualissimo, oltre che crudo come il regista Ken Loach sa essere. Siamo nel Regno Unito, precisamente a Newcastle, ed entriamo nella vita di una famiglia composta da uomo, donna e due figli che deve affrontare la crisi globale. Anche qui c’è un licenziamento e a subirlo è Ricky che, per rilanciarsi nel mondo del lavoro, vende l’auto della moglie (infermiera a domicilio) per comprare un furgone e fare il corriere freelance. La velocità e la produttività la fanno da padrone con scene davvero toccanti quando il protagonista è troppo stanco per lavorare – rischiando così un incidente – o quando viene aggredito da dei teppisti che gli rubano la merce da consegnare. O anche quando porta la figlia adolescente con sé a fare le consegne subendo i rimproveri del capo.
Perché vederlo
I motivi sono tanti e hanno sempre a che fare con il mito della produttività di cui parlavamo sopra ma inducono un’altra riflessione, quella sulle condizioni in cui lavorano le persone. E questo vale per chi fa lavori fisicamente stancanti, come quello del protagonista, ma anche chi lavora per esempio in smart working arrivando a toccare le 10 ore alla scrivania, fermandosi al massimo mezz’oretta.
Da vedere, quindi, per cercare di progettare un lavoro più umano che tenga conto delle diverse esigenze che ogni persona ha e della difficoltà che incontrano i genitori che non sanno a chi lasciare i figli o come gestire i problemi che questi “creano” mentre sono al lavoro.
Una frase del film
“Tu non lavori per noi, lavori con noi”.