C’era una volta la pandemia, c’erano le restrizioni e per molti la sola possibilità di lavorare da casa, poi pian piano si è ritornati, chi più chi meno, in ufficio, alternando giorni in sede e giorni in smart working. Ma soprattutto si è dimenticata quella lentezza che si era acquisita nei mesi più duri del virus e la vita frenetica piena di impegni è ripresa. Chi vive in città grandi lo sa, ma non è da meno nei piccoli centri.

Una volta che si è riprovato a costituire un po’ della “vecchia” normalità, è arrivato anche il burn-out. Che, però, di questi tempi fa il paio con il bore-out.

Apparentemente due fenomeni diversi, ma in realtà molto simili. Vediamo quali sono gli aspetti di entrambi, quali fattori tendono oggi a scatenarli e come chi lavora nel mondo delle Risorse Umane, ma anche gli stessi manager possono rendersene conto.

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Cos’è il burn out oggi

Si è in burn-out quando si è lì lì per scoppiare e questa condizione non è legata solo a un momento di particolare stress – perché magari c’è una gara cui partecipare, una consegna indifferibile o si sta lavorando per ottenere un aumento di stipendio – ma è sostanzialmente una costante di settimane, ma addirittura di mesi.

Si tratta quindi di una sindrome che viene definita da stress lavoro-correlato perché legata alla propria professione che porta la persona a esaurire le proprie risorse psico-fische ed avere reazioni psicologiche negative – nervosismo, irrequietezza, apatia – che poi possono tradursi a problematiche fisiche: insonnia, eruzioni cutanee, mal di testa costante, inappetenza e così via.

Mentre un tempo si riteneva che a essere colpite dal burn-out fossero solo le cosiddette “helping profession”, ossia chi fa lavori che prevedono sostegno ad altri, adesso il burn-out colpisce un po’ tutti e in particolare in questo periodo in cui abbiamo ancora addosso i segni della pandemia.

boreout

Cosa causa il burn-out

A causare il burn-out può essere infatti un sovraccarico lavorativo che porta a un carico emotivo. Chiedere a una persona di lavorare molto più di quanto riesca a sopportare, farla sentire continuamente sotto pressione può portare al burn-out. E questo, per esempio, può avvenire ancora di più se il lavoratore o la lavoratrice stanno attraversando un periodo personale molto critico. Il lavoro, in questo modo, non diventa più la valvola di sfogo, ma il posto in cui i problemi si amplificano. Spesso questo porta a un senso di impotenza perché la persona non sa più come uscirne.

Tra gli altri fattori che causano il burn-out ci può essere un’eccessiva insicurezza che porta la persona a sentirsi senza risorse per affrontare una determinata attività e pertanto ad avere un senso di inadeguatezza perenne.

Così come un lavoratore o lavoratrice può sentirsi abbandonato/a quando viene a mancare il senso di appartenenza all’azienda o al suo team. Un aspetto che è molto legato al modo in cui abbiamo lavorato in questi anni e che, con lo smart working continuo, non è facile da indagare né da superare.

A portare una persona in uno stato di burn-out possono poi il mancato riconoscimento del lavoro che fa, così come il fatto di non condividere alcuni valori aziendali, il senso di competizione costante, la mancata attenzione da parte dei manager, i continui straordinari, la scarsa retribuzione e così via.

I sintomi principali e le fasi del burn-out

I sintomi principali del burn-out possono essere sia fisici che emotivi oltre che legati al comportamento. La persona che si trova in questo forte stato di stress può sentirsi continuamente stanca, irritata e senza appetito. A livello psicologico può sentirsi fallita, così come perdere la motivazione e sentirsi distaccata da ogni cosa. Questo si può tradurre in una produttività molto ridotta, nella rinuncia a prendersi delle responsabilità così come nel continuo bisogno di sfogarsi con tutti.

Sostanzialmente nel burn-out si distinguono 4 fasi:

1) entusiasmo idealistico: la persona si fa carico del peso del mondo, ma emotivamente, ovviamente, è impossibile

2) carichi di lavoro e stress eccessivo: l’entusiasmo inizia a diminuire e la persona si rende conto di avere troppo da fare e di non farcela

3) frustrazione: non a caso è la terza fase perché quando la persona vive la prima e la seconda, avverte un senso di inutilità e inadeguatezza

4) apatia e disimpegno: a seguito di quanto provato la persona si spegne

Cos’è il bore-out

Se partiamo dall’ultima fase del burn-out abbiamo già la strada spianata per capire il bore-out.

Di cosa si tratta? È una sorta di noia cronica e apatia continua nei confronti dal lavoro (to bore in inglese vuol dire annoiarsi) che può portare a sintimi simili a quelli del burn-out come insonnia, mal di testa ecc… Questo perchéstare in un luogo di lavoro in cui non si hanno stimoli e non fare nulla durante il giorno che possa accendere l’entusiasmo a lungo andare rovina la persona, sia dal punto di vista psichico che fisico. Si perde autostima, senso in quello che si è scelto di fare e questo porta le persone a essere frustrate.

E se si pensa che possa essere solo una fase momentanea, c’è a sapere che non è così: una ricerca condotta in Finlandia ha dimostrare come essere in bore-out incida molto sul turnover del personale oltre che sulla richiesta, per chi ovviamente può, di richiedere la pensione anticipata.

Da cosa è causato il bore-out

I motivi possono essere tanti: scarsa organizzazione del lavoro, ambiente poco stimolante, mancata definizione del ruolo che si deve avere così come il passaggio da un’area all’altra. E ancora: un’influenza significativa ce l’ha anche la pandemia e quella sensazione di apatia che abbiamo un po’ sviluppato abituandoci a fare le stesse cose, a uscire poco e pertanto diventando un po’ insensibili agli stimoli.

Anche il quite-quitting, di cui si parla tanto adesso, potrebbe degenerare nel bore-out. La scelta di “fare lo stretto necessario” potrebbe portare in poco tempo a noia e apatia.

Cosa possono fare gli HR per evitare burn-out e bore-out

E allora cosa si può fare per evitare situazioni simili? Un HR deve sicuramente favorire il confronto continuo tra il dipendente e il manager, ma anche tra il dipendente e se stesso.

Incontri periodici, una volta al mese, possono essera una buona soluzione così come può esserlo anche somministrare dei questionari anonimi per capire “l’aria che tira” e cominciare a drizzare le antenne.

Anche ripartire bene il carico di lavoro è importante, così come dare degli obiettivi che siano chiari, definiti e in linea con la persona. Se diventano troppo irraggiungibili, possono portare le persone a esaurirsi o a decidere che non possono fare niente per portarli avanti.

Privilegiare la modalità di lavoro smart quindi può essere un’ottima strategia purché si cerchi di capire quanto effettivamente sia nelle corde del lavoratore e nelle sue possibilità. Per fare un esempio: una persona può lavorare in modo deconcentrato tutto il giorno se è a casa e pensare di dover recuperare la notte. Se invece è più nelle sue corde lavorare in ufficio, perché non assecondarla? Ecco perché è importante che gli HR si confrontino spesso sia con i manager che con i responsabili di team.

Il tutto ricordando una cosa fondamentale: burn-out e bore-out sono due lati della stessa medaglia e per un’azienda possono portare alle stesse conseguenze.