Gap di carriera: è tempo di fare un salto in avanti
Qualche giorno fa LinkedIn ha annunciato che renderà possibile aggiungere “in congedo parentale”, “in anno sabbatico”, “in formazione” e così via al proprio profilo. Un cambiamento che interessa milioni di persone in tutto il mondo, in particolare donne e più di centomila solo in Italia, che a causa della pandemia hanno perso o sono state costrette a lasciare il lavoro, retribuito, per prendersi cura di figli e altri familiari. “Vogliamo normalizzare i gap nel percorso professionale dei nostri e delle nostre utenti e così contribuire a garantire le stesse opportunità economiche e di lavoro anche a chi sta usufruendo di un congedo parentale o di un periodo di aspettativa durante la pandemia”, ha dichiarato Bef Ayenew, Engineering Leader di LinkedIn sul suo profilo. Perché ne parliamo? Perché è tempo che anche le aziende inizino a vedere i percorsi di carriera come concatenazione di scelte e di vissuti, trasversali al ruolo della persona nell’organizzazione, e non come una linea retta che corre separata dal mondo reale dove ogni pausa è considerata un vulnus da giustificare e che fa perdere punti.
Le carriere delle donne italiane sono frenate dai gap di percorso
Secondo l’indagine di LinkedIn e The Female Lead condotta da Censuswide e pubblicata a febbraio, in Italia quasi la metà delle donne (47%) ha sperimentato una disparità di progressione di carriera e aumenti di stipendio, in seguito alla maternità. Secondo i dati raccolti da Lavoce.info, a 15 anni dalla nascita del primo figlio, infatti, i salari lordi annuali delle madri italiane sono di 5700€ inferiori a quelle donne senza figli rispetto al periodo antecedente alla nascita.
Come mette in luce un recente articolo del Harvard Business Review, la pausa dal mercato del lavoro, per la cura di un figlio o di un familiare, fa perdere alle donne il 37% del loro valore economico e contrattuale. Questo fatto è imputabile largamente all’atteggiamento discriminatorio che molte aziende assumono nei confronti di una donna che diventa madre. Se una donna ritrova il suo posto quando rientra dalla maternità, dicono i dati, dovrà combattere con l’idea radicata e diffusa che non sarà più capace, più affidabile, più meritevole di lavorare e più concentrata nel fare il suo lavoro di quanto era prima della maternità.
Ma non è una questione solo femminile
Heather Bolen, giornalista e contributor del blog BetterMarketing.pub, lo scorso 8 marzo ha scritto un articolo intitolato “Come un piccolo cambiamento nella piattaforma potrebbe aiutare milioni di donne a rientrare nel mercato del lavoro” in cui, sostanzialmente, chiedeva a LinkedIn di normalizzare i gap di carriera di chi aveva perso il lavoro in seguito alla pandemia.
Bolen sottolinea come, se anche tale problema riguardi primariamente le donne, a cui, anche in Italia è demandato ancora l’80% del lavoro di cura, in realtà la penalizzazione conseguente all’avere dei gap, dei buchi, nella propria storia professionale riguarda chiunque sia stato costretto a uscire dal mercato del lavoro. Bolen insiste su LinkedIn perché la piattaforma, con i suoi 766 milioni di utenti, 50 milioni di aziende e 14 milioni di offerte di lavoro pubblicate è, di fatto, la più grande piattaforma del mercato del lavoro attuale. Ma, dice Bolen, con un enorme limite. “LinkedIn”, infatti, scrive, “è progettato solo per il lavoro retribuito. La piattaforma non mette a disposizione forme per identificare il congedo parentale, l’aspettativa, la malattia prolungata, l’anno sabbatico, i permessi studio, il volontariato e tutte quelle situazioni nella vita di una persona che accadono e che la fanno stare fuori dal lavoro per un po’”. Come una pandemia, per esempio.
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Che cosa impariamo quando non lavoriamo
Silvia Zanella, esperta di comunicazione per le risorse umane in una nota società di consulenza e autrice di “Il futuro del lavoro è femmina”, sottolinea il valore per la propria carriera che assume il tempo trascorso fuori dal mercato del lavoro, sia quando lavoriamo sia quando abbiamo deciso, o siamo stati costretti e costrette a fare una pausa. La carriera, dice Zanella, non deve infatti essere vista come un percorso lineare in cui vale solo ciò che si è vissuto e imparato all’interno delle mura di un’organizzazione; andrebbe vista, invece, come il frutto e la concatenazione dei vissuti, delle scelte e delle esperienze della persona, che si arricchisce sia dei momenti che vive all’interno dell’organizzazione, sia di quelli che vive all’esterno. Pensiamo, per esempio, a quanto abbiamo imparato di time management, di risk management e di organizzazione di spazi e persone, dall’esperienza dello smartworking nell’ultimo anno. Oppure, quanto una donna, al rientro dalla maternità, ha imparato in termini di consapevolezza, gestione dello stress ed empatia, tutti aspetti fondamentali per esercitare oggi una buona leadership.
Valorizzare i gap di percorso
Quando LinkedIn ha annunciato la sua volontà a valorizzare i gap di carriera mettendo a disposizione di noi utenti anche parole che descrivono tutti questi aspetti, Bolen ha commentato:
”Sono molto felice della notizia. C’è sempre un grande valore, in termini di soft skill che provengono dal tempo che trascorriamo al di fuori dal mercato del lavoro, che può solo arricchire il nostro percorso di carriera, perché ci arricchisce come persone. Che LinkedIn abbia risposto al mio articolo con un cambiamento concreto” aggiunge “è la prova che la nostra voce ha sempre un valore e che dobbiamo usarla per cambiare le cose”.
Nei prossimi mesi, prima per la versione in inglese della piattaforma e, pian piano, anche per tutte le altre lingue, sarà possibile inserire nel sommario e nel proprio percorso le diciture in congedo parentale, in anno sabbatico, in permesso studio e così via. Una scelta, quella della piattaforma, che segue la direzione verso la comprensione delle differenze intrapresa a inizio anno con la scelta di rendere disponibile l’identificazione del proprio genere attraverso l’indicazione del pronome, maschile, femminile o altro, di fianco al proprio nome, che segna inoltre un passo avanti significativo nei confronti delle persone della comunità LGBT+.