Vi è mai capitato di avere a che fare con colleghi stranieri? Che vivono in altre parti d’Europa o del mondo? Sicuramente sì, e se si tratta di scambi brevi e di confronti veloci, ma non lavorate insieme, probabilmente non vi sarete resi conto delle differenze culturali che intercorrono tra di voi.

Ma se vi trovate a lavorarci quotidianamente o siete i loro manager, pertanto dovete guidarli e ispirarli, la questione si fa sicuramente più complicata ed entra in gioco una parola cui non si pensa davvero quanto si dovrebbe nelle aziende: multiculturalità che in alcuni casi viene definita anche multiculturalismo.

Prendendo spunto da un libro che abbiamo letto di recente e che vi consigliamo, “La mappa delle culture” a cura di Erin Meyer, con sottotitolo “Come le persone pensano, lavorano e comunicano nei vari paesi” (ROI Edizioni), cerchiamo di capire come affrontare al meglio la diversità culturale e perché padroneggiare la comunicazione interculturale è sempre più importante.

gruppo eterogeneo di ragazze che lavorano

Sommario:

Cos’è la multiculturalità e perché è importante comprenderla a pieno

Intanto cosa si intende per multiculturalità? Un ambiente multiculturale è un ambiente che, nel caso delle aziende, è contrassegnato dalla presenza di persone provenienti da nazioni o contesti diversi. Persone che parlano spesso un’altra lingua, ma non per forza, con riferimenti normativi e valoriali diversi tra di loro che spesso si traducono in comportamenti che non sono proprio “consoni” rispetto a quello che ci aspetteremmo o ai nostri canoni di riferimento.

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Aspettare il proprio turno o interrompere? Un esempio di differenza culturale sul lavoro

Questa la definizione, ma facciamo un esempio pratico e immaginiamo, come l’autrice del libro racconta, di essere in un ufficio francese e dover incontrare alcune persone sempre francesi che necessitano di essere preparate in vista del loro prossimo trasferimento in Cina. Per farlo al meglio, ci avvaliamo di un esperto cinese con cui in precedenza abbiamo preparato l’incontro e che ci è sembrato brillante e preparato. Solo che nella sessione di formazione si rivela tutt’altro e, a differenza di quello che avrebbe dovuto fare – intervenire con esempi relativi alla sua cultura – per 3 ore di seguito non proferisce parola fino a che, come fa Erin Meyer – che ha vissuto davvero tale situazione –  non gli si chiede se ha degli esempi da condividere.

Ed è in quel momento che la persona, sentendosi chiamata in causa, risponde dicendo di avere molto da dire e illustra gli esempi in modo pertinente, chiaro, coinvolgente.

A cosa è dovuto il suo silenzio che ha portato Erin Meyer a parlare per 3 ore di fila pensando che l’altro non avesse nulla da dire visto che non era intervenuto? Semplicemente a un misunderstanding, o meglio a una “differenza culturale”. Per l’esperto cinese, Bo Chen (questo il suo nome), essendo Erin la persona che presiede la riunione, deve essere lei a dargli la parola.

In Cina mostrare di essere degli ascoltatori attenti è fondamentale così come aspettare una pausa tale da parte dell’altro interlocutore in modo da poter intervenire. A differenza di come si fa in Occidente in cui si è, e lo sappiamo, abituati a interrompersi e “parlarsi sopra”.

L’esempio è lampante di come la multiculturalità possa sicuramente essere un vantaggio ma anche un ostacolo. E in un momento in cui si parla tanto di diversity, prestare attenzione alle differenze culturali e non partire solo dal presupposto che tutti siamo unici quindi il nostro background e il modo in cui siamo cresciuti non ci condizionino, ci aiuta tantissimo.

Dare i feedback tenendo conto delle differenze culturali

Anche perché la cultura occupa un posto di rilievo in ognuno di noi, e questo indipendentemente dal ruolo che si svolge. D’altro canto i manager, i leader e gli HR – che si trovano a dover prendere decisioni e proporre soluzioni – devono prestare ancora più attenzione alla multiculturalità.

Per fare un altro esempio pratico, si parla spesso di cultura del feedback e di come questo sia fondamentale da dare e di come farlo nel modo giusto. Ecco perché, quando si pensa di dare un riscontro rispetto al proprio operato a una persona che ha appena fatto un colloquio o sta guidando un team, bisogna pensare alla multiculturalità.

Questo può valere se si lavora con altre nazioni, indubbiamente, ma anche con persone di origine straniera che vivono in Italia.

Se, per esempio, vi trovate di fronte a un olandese o un tedesco e nel proporre la vostra valutazione fate dei giri di parole, la persona che è dall’altra parte potrebbe non capire. Gli olandesi sono abituati a essere diretti, quasi brutali nel loro modo di relazionarsi, senza nascondere nulla, cosa che per esempio non fanno gli inglesi, abituati a usare espressioni come “Per favore riflettici ancora un po’” quando vorrebbero invece dire “È una cattiva idea, non procedere”. O ancora: “Forse dovresti pensare a… Io suggerirei…” che sembrano forme gentili, ma dietro nascondono che quanto stanno dicendo non è certo un consiglio, ma un ordine e chi è davanti deve prepararsi a fornire delle spiegazioni qualora non lo rispettasse. Anche noi Italiani probabilmente interpreteremmo “male” questo finto garbo perché la nostra è una cultura ad alto contesto ossia basata su una comunicazione sofisticata, stratificata e sfumata, ma che nel caso dei feedback, come spiega Meyer, è piuttosto esplicita.

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La mappa delle culture per avere maggiore consapevolezza

Quanto abbiamo appena detto, ci fa capire come la multiculturalità richiede conoscenza, osservazione e il “saggiare l’acqua in cui si nuota”. È quindi importante svuotarsi dei preconcetti e capire come sono “collocate” le persone in base alla cultura del loro Paese che, anche dopo anni e anni in cui vivono in altri contesti, resta parte del loro essere.

Per questo, può venire incontro la mappa delle culture che illustra le differenze in base a 8 scale:

  • comunicazione: a basso contesto (precisa, chiara con messaggi compresi alla lettera) ed alto contesto (come quella italiana di cui sopra);
  • valutazione: feedback negativo diretto vs feedback negativo indiretto;
  • persuasione: basata sul fatto di argomentare partendo da principi teorici vs basata sul fatto di partire da dati empirici;
  • leadership: egualitaria vs gerarchica;
  • fiducia: incentrata sui compiti vs incentrata sulle relazioni;
  • disaccordo: conflittuale vs evita il confronto serrato;
  • programmazione: con tempo lineare vs con tempo flessibile.

Vantaggi e svantaggi della multiculturalità

Per ognuna di queste scale, Eryn Meier ha posizionato ogni nazione, ma al di là dell’andare a vedere dove si colloca la nostra o quella della persona con cui interagiamo, quello che conta è tener conto di quali possano essere i punti in comune e quali quelli di differenza quando si portano avanti delle relazioni.
Agire in questo modo permette una comprensione migliore delle dinamiche, fa sì che la diversità culturale arricchisca e ci aiuti ad avere sempre un punto di vista diverso, a scoprire strade differenti e magari a dare maggiore verve al lavoro.

Diversamente, invece, rischiamo di compromettere idee, progetti, clienti e tanto altro. Quando non ci si capisce in merito a come risolvere un problema, non si trova un punto d’incontro, non si riesce davvero a far uscire il potenziale di una persona si perde sicuramente tutti.

Per i manager, poi, è sempre più importante poter essere un ponte culturale e cioè aiutare le persone del proprio team o in generale della propria azienda a sviluppare la propria flessibilità culturale, sospendendo i giudizi e vedendo le situazioni da altre prospettive. In fondo il pensiero laterale si allena anche grazie alla diversità.

Ogni leader ha quindi bisogno oggi, come ricorda Meyer nel suo libro, non solo di comprendere chi ha di fronte, ma di accogliere, oltre alle differenze delle persone, anche stili di lavoro diversi e di capire quali aspetti di un’interazione dipendono dalla personalità e quali sono il risultato di differenze date dalla cultura.

Una sfida impegnativa, ma stimolante che, se la diversity è davvero un mantra, non può che essere colta.