Non è tutto vero quello che pensi: attenzione agli unconscious bias
Ci piace considerarci persone oggettive. Imparziali e senza pregiudizi. Soprattutto, se ogni giorno nel nostro lavoro abbiamo il compito di prenderci cura del benessere di chi lavora con noi perché dal loro successo dipende quello della nostra organizzazione. Tuttavia, il modo in cui il nostro cervello affronta la mole di informazioni richiesta per prendere anche la più piccola delle decisioni – zucchero normale o di canna? – ci porta inevitabilmente a usare stereotipi e pregiudizi a nostro vantaggio. E La connotazione negativa che hanno queste due parole, legate nel nostro immaginario alle discriminazioni razziste o sessiste, per cui preferiamo utilizzare l’inglese “bias” all’italiano stereotipi, è… essa stessa frutto di uno stereotipo!
Perché abbiamo bisogno degli stereotipi
Il nostro cervello, infatti, utilizza gli stereotipi per elaborare più informazioni possibili con il minor dispendio di energia. Ed è un meccanismo molto utile, se pensiamo che siamo capaci di compiere azioni senza doverci chiedere tutte le volte cosa significa che la luce del semaforo è rossa o che quel punto esclamativo su sfondo giallo è indicazione di pericolo. Se da un lato, quindi, i bias sono meccanismi progettati per aiutarci a prendere decisioni, dall’altro, quando vengono utilizzati per interpretare situazioni più complesse, che riguardano persone e situazioni particolari, rischiano allo stesso tempo di farci commettere errori madornali. Dovendo agire rapidamente, infatti, tendiamo a utilizzare gli stereotipi come scorciatoie: e come tutte le scorciatoie, arriviamo sì prima, ma ci perdiamo un bel pezzo di meraviglioso panorama. Così, prendiamo le decisioni in base a quel che conosciamo già e alle nostre preferenze; e tra due persone che abbiamo di fronte, siamo più propense a scegliere quella più simile a noi perché è più facile entrare in relazione con lei. Tali meccanismi sono del tutto inconsci, fino a che non iniziamo a interrogare il nostro modo di fare le cose e a guardare le situazioni anche da altri punti di vista.
Tre contesti in cui gli unconscious bias contano di più
Poiché fanno parte del nostro modo di rapportarci alla realtà e di risolvere i problemi, gli unconscious bias si manifestano pressoché ovunque in ambito lavorativo. In particolare, però, sono quattro i contesti in cui è più rischioso lasciarli agire indisturbati. Anzitutto, in fase di selezione, quando cioè dobbiamo trovare la persona più giusta: come fare a gestire il giudizio sulla base dei criteri oggettivi che ci sono stati dati mettendo d’accordo anche tutto lo unconscious che invece viene dalla nostra esperienza e vissuti? Sapere come funziona, è un ottimo punto di partenza. Perché il bias della somiglianza ci porterà a scegliere persone simili a noi, anche fisicamente, o che hanno un background simile al nostro. Altre due modalità potrebbero essere scegliere di portare avanti la selezione coinvolgendo più persone oppure scegliere la modalità del blind recruitment.
Gli altri due contesti dove i bias sono più insidiosi, sono il momento di restituire feedback alle persone e il momento in cui si sviluppa un piano di coinvolgimento o di sviluppo di competenze. Insomma, ogni volta che pensiamo di sapere come le altre persone dovrebbero o potrebbero comportarsi, scatta immediatamente in noi il bias della profezia che si auto-avvera, per cui ci relazioniamo con una persona certe che si comporterà in un certo modo senza accorgerci che così ne stiamo di fatto limitando l’espressione; e dell’assunzione selettiva di informazioni, per cui, al fine di preservare la nostra visione del mondo, evitiamo il più possibile di conoscere e comprendere ciò che è diverso da noi: il “si è sempre fatto così”, nemico dell’innovazione, nasce proprio da questo bias cognitivo.
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Perché è importante diventare consapevoli dei propri bias
Per più di sei anni, nell’ambito dello sviluppo del programma 50 Ways To Fight Bias Lean In e McKinsey & Company hanno studiato la condizione delle donne americane nei luoghi di lavoro. E hanno riscontrato che le donne hanno meno probabilità di essere assunte e promosse; allo stesso tempo, fanno esperienza di discriminazione continua. La situazione è analoga per le persone appartenenti alla comunità LGBT+ e le persone con disabilità. Benché il 73% delle persone prese in esame da Lean In e McKinsey riconosce di essere oggetto di stereotipi sul posto di lavoro, meno di un terzo dei loro colleghi e colleghe è capace di riconoscere uno stereotipo in azione e solo un terzo dei manager è in grado di affrontarlo quando si presenta in una situazione concreta come un meeting. Per questo, è fondamentale che oggi le organizzazioni si adoperino affinché le proprie persone diventino consapevoli degli stereotipi che influenzano il loro modo di pensare e di agire. L’obiettivo, dunque, non è tanto quello di cambiare le persone e il loro modo di pensare; ma di fare sì che divengano consapevoli dell’impatto che tale modo di pensare ha sull’ambiente che le circonda. L’obiettivo ultimo è sempre quello di costruire un ambiente di lavoro inclusivo.
Conoscere i propri stereotipi per liberare il potenziale
Per fortuna, le neuroscienze e la sociologia ci insegnano che è possibile mitigare i nostri unconscious bias attraverso un’operazione di ricalibrazione: divenute consapevoli dell’esistenza e del funzionamento di tali meccanismi, è possibile educarci a pensare e ad agire in modo diverso. Affrontare i bias inconsci ci consente di crescere e dare il meglio, liberando il potenziale che ci spinge a risolvere i problemi e a ottenere risultati. Come? Identificando i bias che utilizziamo nel nostro lavoro e nel nostro modo di pensare, facendoci delle domande: per esempio, quando ci sembra che una nostra collega che prende posizione in un meeting stia agendo in modo aggressivo, proviamo a chiederci se penseremmo lo stesso se ad agire in quel modo fosse un uomo; poi, coltivare relazioni con chi ci circonda, con empatia, agendo magari anche come alleati ed alleate in quelle situazioni in cui le persone attorno a noi sono oggetto di discriminazione silente: per esempio, possiamo scegliere di aggiungere il nostro pronome di riferimento al nostro profilo LinkedIn o Teams aziendale, per favorire l’espressione e l’inclusione dei colleghi e delle colleghe LGBTQ+; e, infine, cercando di andare oltre le scorciatoie, scegliendo di dare il nostro personale contributo, anche se non sempre è la strada più facile.