Come mantenere il delicato equilibrio tra l’essere umani e una tecnologia che corre sempre più veloce? Ecco alcuni spunti emersi durante l’evento alla Fondazione Feltrinelli di Milano dedicato ai professionisti HR, tra formazione continua, nuove tecnologie e coinvolgimento della Gen Z.

Sommario

“Noi siamo fragilità e fare finta di non esserlo non è essere più efficienti o efficaci, ma essere, invece, più poveri” e ancora “Noi veniamo al mondo gridando il nostro bisogno di aiuto”.

A pronunciare queste parole è stato Don Luca Peyron in uno degli interventi che indubbiamente hanno più colpito i partecipanti dell’edizione 2025 di HR Circle che si è tenuta alla Fondazione Feltrinelli di Milano il 2 aprile. Nel suo discorso, il presbitero diocesano e docente dell’Università Cattolica di Torino ha parlato di umanità ma anche di Intelligenza Artificiale facendo riflettere molto sull’uso che ne stiamo facendo all’interno delle aziende e sugli effetti che ha. Senza demonizzarla, ma senza neanche esaltarla a dismisura.

Partendo dalle sue parole e prendendo in considerazione anche le tante altre che sono circolate nella sala della Fondazione Feltrinelli – tra cui formazione continua, ruolo delle competenze, nuovi modelli di apprendimento -, in questo articolo cerchiamo di condividere cosa ci è rimasto di uno dei primi eventi HR della primavera 2025.

Intelligenza Artificiale: perché non dobbiamo chiederci soltanto cosa fa ma anche cosa disfa

I grandi cambiamenti tecnologici ci scuotono, ci interrogano, ci trasformano. Ma dobbiamo ricordarci che il cambiamento non è una novità nella storia dell’umanità: è una costante.

Ogni epoca ha avuto le sue rivoluzioni, e ogni rivoluzione ha avuto un impatto profondo sul modo di vivere, pensare e relazionarci. Basti pensare all’invenzione potente della stampa, solo per citarne qualcuna.
Ogni tecnologia, ha ricordato Don Luca Peyron, di fatto diventa parte integrante del nostro ecosistema, non è una semplice aggiunta perché trasforma radicalmente tutto ciò che tocca.
Ecco perché dovremmo ricordare che “quando noi mettiamo l’AI dentro un’impresa stiamo cambiando quella per sempre in modo irreversibile” e da qui affrontare tale cambiamento non in un modo univoco. Spesso, infatti, ci chiediamo – e siamo sicuri che anche chi legge sarà sommerso da post su LinkedIn su cosa si possa fare con l’AI generativa – “Cosa fa questa nuova tecnologia?”. Si tratta, di una domanda importante da porsi, ma non così cruciale o comunque non così epifanica come può essere “Cosa ci fa questa tecnologia? Cosa cambia in noi nel nostro modo di lavorare, decidere e vivere? e ancora “Cosa disfa”?.
Il cambiamento tecnologico, quindi, non è mai solo “additivo”: è ecologico, ha ricordato Peyron. Significa che cambia l’intero sistema. Se metti una goccia di colore in un bicchiere d’acqua, tutta l’acqua cambia colore. Così funziona l’AI: la inseriamo nella nostra organizzazione e lei la colora. Ma siamo sicuri che quel colore ci piaccia?
Nel business coaching, lo sappiamo, queste sarebbero definite “domande potenti” e in effetti lo sono perché ribaltano il pensiero e aprono nuovi squarci facendo riflettere sul fatto che, come ha evidenziato Peyron, “stiamo inserendo all’interno del nostro sistema una macchina che ci dice che dobbiamo essere più efficaci ed efficienti. Di fatto ciò non funziona perché abbiamo costruito la tecnologia per farci aiutare nella nostra natura umana di persone fragili. Infatti, è come se stessimo costruendo una Ferrari e anziché salirci sopra le stessimo correndo accanto”.
Valutare le persone con i criteri delle macchine, vale a dire efficienza, velocità, produttività, pertanto, può essere rischioso e portare le persone a non dire più “Sono felice”, ma “Sono performante”. “Ma noi non siamo macchine”, ha ricordato lo speaker. “Siamo esseri imperfetti, fragili, bisognosi di tecnologia proprio perché non siamo autosufficienti. La macchina è nata per compensare le nostre mancanze, non per sostituirci”.

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Una società più umana, non solo più efficiente

Con le tecnologie digitali, abbiamo perso il senso della responsabilità. Inviamo e-mail a decine di persone per non assumere decisioni. Usiamo la macchina per coprirci. Ma cosa accade quando la macchina sbaglia? Siamo pronti ad assumerci le conseguenze? E soprattutto ci stiamo chiedendo cosa succederà domani?
“Una generazione che cresce delegando tutto a una macchina”, si chiede Peyron, “sarà così lucida e libera di divergere da una decisione della macchina che ha preso l’allucinazione?” Ecco perché prima di introiettare un’idea dovremmo capire di che idea parliamo e ricordare che noi siamo fragilità. Fare finta di non esserlo non ci rende più forti, ma più poveri”.
È il momento quindi di ripensare alla tecnologia come mezzo, non come fine. Non basta chiedersi “Che male c’è?”, ma serve domandarsi: “Che bene c’è?’”.
“Le persone vogliono essere ascoltate, viste, riconosciute. E questo, per fortuna, nessuna macchina lo può ancora fare davvero”, chiosa Peyron.

Formazione continua: perché è “urgente”

In tutto ciò rientra anche la formazione: Matteo Zanza, Human Capital Leader di Deloitte Central Mediterranean, nel suo intervento ha spostato il focus dell’HR Circle sulle competenze partendo da un assunto: in un mercato in cui una carriera dura in media 50 anni, le skill hanno un ciclo di vita di 3-5 anni. Ecco perché l’aggiornamento costante non è più un “nice to have”, ma una necessità strategica.
Zanza ha evidenziato come non basti “solo” introdurre la tecnologia: serve investire nella formazione reale e accessibile che accompagni il cambiamento, nel rispetto di normative e principi etici. Per questo è importante attivare costantemente le figure HR nei processi di trasformazione digitale: l’Intelligenza Artificiale non è più un’opzione, ma un compagno di viaggio imprescindibile. Serve un’accelerazione decisa per comprendere e usare questi strumenti nel modo giusto.

Generazione Z: tra valori e sfide

Sulla Generazione Z e sulle aspirazioni apparentemente diverse rispetto alle altre ha fatto riflettere Gianluca Bonacchi, Employer Branding Leader di Indeed, ricordando che chi ne fa parte è cresciuto in un mondo contrassegnato da crisi economiche, pandemia, tensioni geopolitiche che ne influenza profondamente l’approccio al lavoro e alla vita.

Parliamo dei nati tra il 1996 e il 2012: il 13,5% della popolazione, il 10% della forza lavoro. Guardano al presente con pragmatismo, ma vivono con forte preoccupazione il futuro a causa di: carovita, stipendi bassi, difficoltà a immaginarsi una famiglia. Il 90% è disposto a trasferirsi all’estero. Sono guidati da valori che mettono al centro la salute mentale, la flessibilità e il lavoro da remoto e vedono i cambi di lavoro come opportunità di crescita.
Questa generazione cerca stabilità e sviluppo, ma con modelli nuovi: formazione breve, coinvolgente, percorsi personalizzati e una cultura organizzativa autentica.
Cosa possono fare le aziende per attrarre questi giovani? Tra i consigli dati da Bonacchi ci sono:
● essere coerenti tra ciò si dichiara e ciò che si vive internamente;
● offrire percorsi di carriera non lineari, ma su misura;
● garantire retribuzioni adeguate e benefit legati a benessere e apprendimento.
Senza dimenticare, comunque, che la longevità lavorativa è un trend in crescita: nel 2018, il 21% dei lavoratori aveva più di 55 anni; oggi siamo al 31%, e nel 2030 saremo al 32%.
La sfida pertanto è creare ambienti realmente inclusivi e intergenerazionali, nei quali ogni età porti valore.

People Centricity: ascolto, cultura e tecnologia per un vero engagement

Tra gli ultimi interventi della mattinata segnaliamo il panel “People Centricity ed Employee Engagement”, moderato da Alessandro Zollo, partner e CEO di Great Place to Work, cui hanno preso parte Giacomo Mazzariello Executive Vice President, Group CHRO di Chiesi Group; Donatella de Vita, Global Head of Welfare and Engagement di Pirelli; Elena Anfosso, HR Director Europe & Americas di BAT, Matteo Melchiorri, Culture & Change Project Lead di Fastweb + Vodafone e Marco De Rosa, Human Resources Director di ALSTOM Italia.
Il confronto ha messo in luce quanto oggi sia fondamentale partire da un ascolto autentico per comprendere davvero le esigenze delle persone: solo così è possibile costruire un’organizzazione capace di rispondere con coerenza e sensibilità alle sfide del presente. È emerso anche il ruolo cruciale della leadership di prossimità, empatica e umana, che ha la forza di creare ambienti di lavoro in cui le persone si sentono valorizzate, motivate e incluse.HR Circle 2025, Intelligenza Artificiale, Umanità e Tecnologia, Don Luca Peyron, formazione continua, competenze digitali, Generazione Z, people centricity, employee engagement, leadership empatica, trasformazione digitale, benessere organizzativo, inclusione, diversità, cultura aziendale, futuro del lavoro, AI nel lavoro, HR e tecnologia, sviluppo delle persone, etica dell’AI
Si è anche parlato della necessità di evolvere le strategie di welfare, andando oltre i benefit tradizionali per integrare dimensioni come il benessere fisico, mentale e la crescita personale. Ricordando, allo stesso tempo, come la digitalizzazione e la personalizzazione dell’esperienza lavorativa siano strumenti sempre più decisivi per rispondere in modo puntuale ai bisogni individuali. Quando questi elementi si intrecciano con una cultura aziendale solida, fondata su valori realmente condivisi, si genera sicurezza, senso di appartenenza e un engagement profondo.
L’inclusione e la valorizzazione della diversità sono emerse, inoltre, come leve potenti di crescita purché non si tratti di semplici slogan, ma di scelte concrete che permettono di far emergere il talento in tutte le sue forme.
Tutti aspetti importanti per Speexx che da sempre è attenta alle persone e pensa che il loro sviluppo, o people development che dir si voglia, passi dal progettare la formazione, la comunicazione e i percorsi di crescita in chiave più umana e consapevole. Il tutto con l’ausilio della tecnologia, certo, ma che è e deve restare, per ricordare le parole di Don Luca Peyron, un mezzo, mai un fine cui tendere.

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